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In Italia migliorano le acque balneabili, ma rimangono i problemi di depurazione***

Inquinamento, acidificazione e rifiuti le altre minacce dei mari. In arrivo una proposta di legge contro le microplastiche
  • Veronica Ulivieri

Siamo tra i Paesi dove nel 2015 le acque balneabili sono migliorate di più, ma anche tra quelli dove, al contrario, l’anno scorso ci sono stati più peggioramenti.

In un quadro generale ottimistico, con il 96% delle acque balneabili europee che rispettano gli standard minimi di qualità Ue, quasi l’1% in più rispetto al 2014, e la quota di siti con acque di scarsa qualità in diminuzione (passati dall’1,9% nel 2014 all’1,6% nel 2015%), rimangono però alcune tendenze critiche. Come quella, inaspettata, che vede le classifiche degli “upgrade” e dei “downgrade” delle acque guidate dagli stessi Paesi. “Tra il 2014 e il 2015 – si legge nel rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) uscito a fine maggio – 125 siti di balneazione hanno cambiato status passando da una bassa qualità a una sufficiente, o anche migliore”.

I Paesi con il più alto numero di miglioramenti sono stati la Francia (in 32 siti), l’Italia (24) e la Spagna (20). “Tuttavia – continuano da Bruxelles – nello stesso periodo, 76 siti di balneazione sono passati da una qualità almeno sufficiente a bassa qualità”. Un fenomeno che si è registrato in particolare in Francia, dove in ben 29 casi le acque hanno una qualità insufficiente, seguita da Spagna, Italia e Paesi Bassi, tutti Paesi in cui più di 10 siti sono stati declassati per un inquinamento maggiore rispetto all’anno prima. Così, se la quota di acque con qualità eccellente cresce, passando dall’83,3% del 2014 all’84,4% del 2015 (era al 78% nel 2015), i dati provenienti dall’Europa mediterranea e dall’Olanda ci ricordano che le acque pulite non vanno considerate un bene acquisito per sempre: serve attenzione costante, perché tornare indietro è facile.

Anche perché, spiega il segretario generale di Marevivo Maria Rapini, in Italia la depurazione rimane un tema pieno di criticità: “Da quest’anno l’Italia dovrà pagare all’Europa sanzioni gravose per i ritardi relativi al rispetto della direttiva comunitaria che prevede la messa a norma dei sistemi fognari e depurativi. In otto Regioni sono stati nominati Commissari per la realizzazione di impianti di depurazione e fognature e ben tre italiani su 10 italiani su 10 non sono ancora allacciati a fognature o a depuratori.

Non solo: il rapporto europeo in realtà monitora solo la concentrazione di due microrganismi, l’enterococco intestinale e l’Escherichia coli, indice di possibile inquinamento proveniente da fognature, letame o feci di uccelli. I dati che arrivano da Bruxelles sono un buon indicatore della qualità dei depuratori, ma non ci dicono niente, invece, sulle altre fonti di inquinamento del mare, dando quindi un’immagine parziale delle acque dove facciamo il bagno ogni estate. “La salute del mare è compromessa dalle attività dell’uomo: il carico inquinante dei fiumi, le emissioni di Co2 che acidificano le acque e provocano l’aumento della temperatura, e i rifiuti, ormai problema planetario, sono i killer che ogni giorno minacciano i nostri mari”, aggiunge Maria Rapini.

Tra i fattori principali che peggiorano, di anno in anno la qualità delle acque c’è la presenza delle microplastiche, di cui si parla sempre più spesso. “Ogni anno nel mondo vengono prodotte 280 milioni di tonnellate di plastica e si stima che nel 2050 diventeranno 400. Su questo scenario, si innestano gli studi che prevedono che per quell’anno ci saranno più plastiche che pesci in mare”. A maggio 2016 l’associazione ha lanciato la campagna “Mare mostro: un mare di plastica?”.

Secondo un rapporto realizzato dai ricercatori dell’università La Sapienza di Roma per l’associazione, “i rifiuti plastici provenienti da terra costituiscono a circa l’80% di tutti i detriti plastici che si trovano nell’ambiente marino”, ma un ruolo significativo lo gioca anche la navigazione: “Si stima che già nei primi anni ’90 siano state immesse in mare 6,5 milioni di tonnellate di plastica”, spiegano i ricercatori romani coordinati dal professor Giandomenico Ardizzone. E poi ci sono “la perdita di fibre tessili nei lavaggi dei capi di abbigliamento, impiego degli strumenti da pesca e utilizzo di prodotti per la cosmesi. A tali aspetti si aggiunge anche il rischio derivante dalla concentrazione di pericolose sostanze chimiche tossiche, gli ftalati, che favoriti dalle piccolissime dimensioni delle microplastiche possono facilmente passare dai bassi livelli trofici della catena alimentare come il plancton, ai pesci e quindi fino all’uomo”.

La campagna di Marevivo, oltre a iniziative di sensibilizzazione rivolte a scuole e cittadini, prevede anche, conclude Maria Rapini, “la predisposizione di una legge ad hoc sulle microplasticheche presenteremo il 29 giugno e un’attività che di raccolta della plastica alla foce di alcuni fiumi prima che si disperda in mare, con il progetto “Seaswipper” in collaborazione con il Consorzio Castalia”.

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