L’epidemia ha colpito anche le scimmie. Tra gli umani si propaga attraverso la carne di animali infetti, cacciati illegalmente
28/10/2014
Veronica Ulivieri
Un’emergenza umanitaria, un’epidemia che, ai tempi della globalizzazione non minaccia solo l’Africa, ma anche tutti gli altri Paesi del mondo. L’Ebola è tutto questo, ma non solo: la malattia che ha già ucciso più di 4mila persone, ha infatti anche un lato ambientale, con rischi legati alla conservazione delle specie. “Il virus sta devastando sia la popolazione umana che quella delle grandi scimmie, costituendo una minaccia sia per la salute umana che per la biodiversità”, spiega Jane Smart, la direttrice per la conservazione della biodiversità di IUCN, una delle principali organizzazioni ambientaliste a livello mondiale. Della famiglia delle grandi scimmie fanno parte oranghi, gorilla e scimpanzé, particolarmente numerosi anche in alcune aree dell’Africa occidentale, dove si è scatenata l’epidemia.
Ma le connessioni con il mondo animale non finiscono qui: secondo molti osservatori, una delle vie principali attraverso le quali si sarebbe propagato il virus sono proprio la caccia e il consumo della carne di animali selvatici infetti. In molti villaggi africani dove il cibo scarseggia, pipistrelli, roditori, scimmie e antilopi rappresentano spesso l’unica fonte di proteine. “La caccia agli animali selvatici della foresta è illegale in molti stati africani, ma la debole applicazione della legge mina qualunque sforzo di bloccarne realmente il commercio: solo in Camerun, per esempio, si pensa ci siano 460mila cacciatori”, spiegano dal CIFOR, il Centro per la ricerca internazionale sulla foresta. Una delle prime vittime causate da un altro focolaio di Ebola sviluppatosi nella Repubblica democratica del Congo nel 2012, per esempio, era un cacciatore che si era cibato di una carcassa di antilope trovata morta in un cespuglio. E spesso, gli animali malati sono quelli che finiscono più facilmente nelle trappole dei cacciatori, perché più deboli.
Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, “l’Ebola viene introdotta nella popolazione umana attraverso un contatto diretto con il sangue, le secrezioni, gli organi o altri fluidi corporei di animali infetti”. Sono particolarmente a rischio i cacciatori, ma anche tutti coloro che preparano la carne per la cottura. La trasmissione tra gli umani poi fa il resto. E non è un caso che il virus si sia inizialmente diffuso nella regione delle foreste della Guinea meridionale.
Eppure, allo stesso tempo, è difficile vietare la caccia agli animali selvatici. “Decine di milioni di africani ricavano dalla carne di animali selvatici fino all’80% delle loro proteine e un divieto non potrebbe mai essere applicato, perché non ci sono alternative alle proteine”, spiega il vice direttore del CIFOR Robert Nasi, che studia la pratica della caccia di specie tropicali in Africa da più di 10 anni. Anche la FAO è consapevole che la messa al bando di questa pratica non darebbe i risultati sperati, anche se uno stop appare fattibile nel lungo periodo: secondo Juan Lubroth, responsabile Salute degli animali della FAO, una delle soluzioni a lungo termine per combattere l’Ebola è proprio l’introduzione dell’allevamento, dicendo basta all’uccisione degli animali selvatici.