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GreenJobs: i numeri del successo italiano***

Sono in controtendenza con la crisi ed il mercato del lavoro: parliamo dei lavori verdi. Ecco i dati diffusi da Fondazione Symbola e Unioncamere

31/10/2016

Letizia Palmisano

Per battere la crisi si punta sul verde: no, non si fa riferimento a tavoli di poker né a quelli dei dadi, ma alla scelta adottata da molte aziende ai tempi della crisi che, ormai da troppi anni, ha colpito il sistema economico.

Come dimostrano i numeri analizzati nell’ambito di GreenItaly 2016 – settimo rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere promosso con Conai grazie anche al patrocinio del Ministero dell’Ambiente  – la green economy rappresenta una delle strade maggiormente percorse dalle aziende per combattere sul mercato, spesso senza incentivi pubblici, ma con esiti straordinari. Sono oltre 385mila le aziende italiane – il 26,5% del totale (e nel comparto manifatturiero la percentuale sale al 33%) – che, a partire dal 2010, hanno investito in tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale, ridurre i consumi e contenere le emissioni di CO2 ottenendo un aumento di competitività, di crescita delle esportazioni, dei fatturati e dell’occupazione. Il paragone fra aziende è impietoso: l’82% delle aziende green – contro il 53% delle imprese non green – sono presenti sul web, ha processi digitalizzati e punta sulle digital skills; il 46% delle imprese che investono in tecnologie verdi esportano all’estero i propri prodotti mentre quelle “non investitrici” che si dedicano anche all’export sono solo il 27,7%; il 35,1% delle imprese green ha visto il proprio fatturato aumentare nel corso del 2015 mentre solo nel 21,8% dei casi le “altre” hanno potuto registrare lo stesso risultato; il 33,1% delle aziende green ha introdotto innovazioni mentre le “altre” solo nel 18,7% dei casi.

La green economy ha prodotto 2 milioni 964 mila green jobs ovverosia posti di lavoro ove vengono impiegate competenze ‘verdi’ e che costituiscono il 13,2% dell’occupazione complessiva nazionale. I dati, già di per sé molto positivi, sono  destinati a salire entro dicembre con oltre 249.000 nuovi posti di lavoro registrati nel 2016 e ripartiti fra green jobs in senso stretto e figure ibride con competenze green (44,5% della domanda globale di lavoro non occasionale). In particolari settori le percentuali salgono vertiginosamente: nella ricerca e sviluppo la quota arriva al 66%. Anche la “qualità” delle assunzioni nel caso dei green jobs è migliore: ben il 53,4% del totale sono a tempo indeterminato a dispetto di un quota più bassa (38%) nel caso delle altre aziende.

In termini di PIL, nel corso del 2015, i green jobs hanno prodotto il 13% del totale complessivo e quindi oltre 190,5 miliardi di Euro e, sotto il profilo energetico, le nuove professionalità e i nuovi investimenti stanno trasformando l’Italia in un paese leader nell’ecosostenibilità: rispetto al Bel Paese (con una produzione di 14,3 tonnellate) solo il Regno Unito (ove però “l’industria” finanziaria prevale su quella manifatturiera) è l’unico paese tra le cinque grandi economie comunitarie che produce meno tonnellate (11,6) di petrolio equivalente per milione di euro prodotto. Fra queste cinque potenze economiche l’Italia è inoltre il secondo paese – con 312 tonnellate per milione di euro prodotto – per input di materia – e, con 107 tonnellate, per CO2 equivalente per milione di euro prodotto. Nel rapporto tra produzione di rifiuti e produzione, invece, l’Italia occupa il primo posto con 42 tonnellate ogni milione di euro grazie anche al riciclo di 47 milioni di tonnellate di rifiuti non pericolosi (il valore assoluto più elevato tra tutti i paesi europei) che ha consentito il risparmio di oltre 17 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, nonché la riduzione di emissioni per circa 60 milioni di tonnellate di CO2. Nel comparto degli imballaggi il tasso di riciclo, valutato pari al 66,9% nel corso del 2015, vede i propri destinati a crescere: stando alle stime Eurostat, l’Italia è il Paese europeo che dal 1998 al 2013 ha visto il maggior incremento di imballaggi avviati a riciclo (+4,2 milioni di tonnellate). 

Nella distribuzione territoriale è il Nord ad avere il numero più alto di imprese green: in  Lombardia se ne contano 69.390, quasi un quinto del totale nazionale; seguono il Veneto (37.120), Lazio (33.630), Emilia-Romagna (33.010), Toscana (29.160), Piemonte (28.480), Campania (26.910), Sicilia (23.630), Puglia (23.330) e Marche (11.870). La stessa classifica, grosso modo, vale per il “campionato” delle assunzioni di green jobs: la Lombardia primeggia con quasi 20.000 nuove assunzioni (pari al 27,6% del totale), seguita dal Lazio, con circa 9.000 assunzioni (12,2%), dal Veneto con 6.400 (8,9%) e da Emilia Romagna e Piemonte con 5.000 nuove assunzioni ciascuna. 

 “Queste imprese – afferma Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola – dimostrano che il nostro posto nel mondo non è quello della competitività a bassi prezzi e dumping ambientale e sociale, ma quello della qualità, fatta di cura dei dettagli, di attenzione al capitale umano, di coesione, bellezza, innovazione e sostenibilità. Investendo green le aziende diventano più sostenibili e soprattutto più competitive e aprono un sentiero che va verso il futuro.” 

I dati del nostro Rapporto – sottolinea poi il presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello – dimostrano una volta di più che la scelta green paga. Questo modello di sviluppo si sta rivelando uno strumento prezioso per intercettare nuovi stili di consumo e di vita basati su una maggiore domanda di sobrietà, attenzione alla giustizia sociale e equità. Si tratta di stili emergenti e in rapida ascesa sullo scenario globale che stanno portando verso una accelerazione dell’economia circolare. E l’innovazione passa anche dalla digitalizzazione. Non a caso le imprese green sono anche quelle maggiormente digitalizzate nel nostro tessuto produttivo. Basti pensare che 4 su 5 sono presenti sul web, hanno processi digitalizzati e puntano sulle digital skills, contro poco più della metà delle imprese non green. Due fronti – quello della greeneconomy e delladigitalizzazione – sui quali le Camere di commercio sono fortemente impegnate”.

Immagine in licenza CC autore Linh do

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