Germania e Danimarca lavorano sull’indipendenza energetica verde, l’Italia al top nelle biomasse legnose
16/09/2013
- Franco Vivona
Da circa quarant’anni in Italia, e ovviamente anche in Europa e nel resto del mondo, molti ricercatori sono quotidianamente impegnati nel portare avanti studi impegnativi e ricerche molto qualificate nel campo delle energie rinnovabili e delle bioenergie, allo scopo di fornire un indispensabile contributo a quelle che poi devono essere le decisioni dei governi locali, nazionali e internazionali, in tema di sviluppo sostenibile, efficienza energetica, salvaguardia del nostro Pianeta Terra nei periodi medio e lungo, per contrastare i sempre più evidenti mutamenti climatici.
Un dato importante è quello che è continuamente oggetto di articoli sui giornali e di servizi televisivi, così come avvenuto proprio nelle scorse settimane, ovvero in coincidenza della data del 20 agosto 2013: infatti, in sette mesi e venti giorni a partire dall’inizio dell’anno, la Terra ha esaurito le risorse ambientali che è in grado di produrre in un intero anno, per dodici mesi! Questa realtà riguarda tutti i Paesi del Mondo e, per quanto concerne l’Italia, consumiamo circa quattro volte le proprie biocapacità, secondo i dati attendibili contenuti nel Global Footprint Network. Un dato molto significativo, e che deve preoccupare tutti noi. E difatti, come si è potuto leggere in un’interessante intervista rilasciata per il quotidiano di Torino La Stampa, il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando afferma esplicitamente che in Italia si deve cercare di limitare i danni, mediante appositi disegni legge che contribuiscano a cambiare direzione.
A questo proposito sarà a breve organizzata una conferenza a livello nazionale sui temi delle aree protette, sulla biodiversità, nonché sul riuso e sul riciclo, sulla linea internazionale del recupero dei rifiuti e contro lo spreco alimentare. La politica nazionale e internazionale si sta finalmente rendendo conto che, oltre alla ben nota crisi di carattere finanziario, esiste anche una crisi di carattere ambientale, che determina conflitti e diseguaglianze e che continua a consumare vaste porzioni di territorio a prescindere dall’andamento demografico ed economico.
Dopo il Summit di Rio, molti Paesi si stanno attrezzando concretamente in vista delle importanti scadenze concordate e fissate per il 2020 e per il 2050. La Germania ha varato l’Energiewende (transizione energetica), un progetto da mille miliardi di euro con il quale è previsto di uscire dal nucleare e dai combustibili fossili, per diventare una potenza tecnologica nel campo delle fonti rinnovabili. Secondo le previsioni entro il 2050 la Germania produrrà l’ottanta per cento della energia elettrica da fonti rinnovabili: idroelettrico, solare ed eolico, mentre le nove centrali nucleari verranno smantellate e definitivamente chiuse entro l’anno 2022. L’efficienza energetica aumenterà del cinquanta per cento, mentre le emissioni di anidride carbonica si ridurranno dell’ottanta per cento rispetto ai livelli del 1990.
Ancora più eclatante appare il programma predisposto dalla Danimarca, probabilmente quello più ambizioso al mondo, approvato dal parlamento danese con 171 voti a favore su 179! Il piano prevede che entro il 2050 il Paese scandinavo produrrà il cento per cento dell’energia di cui necessita (elettricità, riscaldamento, industria e trasporti) mediante fonti energetiche rinnovabili; tutto ciò azzerando completamente il ricorso a petrolio, gas e carbone; per il 2020 è previsto un obiettivo intermedio, fissato ad una quota del trentacinque per cento.
Per raggiungere questi risultati, ovviamente, il governo danese si è impegnato in maniera molto forte e decisa: incentivi per la chiusura delle centrali a carbone, con la loro trasformazione in centrali a biomassa; fondi consistenti per utilizzare l’energia geotermica; stop alle caldaie a petrolio e a gas negli edifici nuovi a partire dal 2013, e dal 2016 per gli edifici già esistenti; consistente espansione del biogas nei processi industriali, veicoli efficienti e auto elettriche, e infrastrutture per l’idrogeno e per il gas naturale per il trasporto pesante.
Si capisce bene come, di fronte a questi programmi titanici di Germania e Danimarca il nostro Paese si deve davvero impegnare con decisione e serietà, e con disponibilità di risorse finanziare e umane nei prossimi anni. Così come si era impegnato, verso la fine degli anni settanta, con molteplici iniziative che avevano lasciato intravedere un percorso virtuoso dell’Italia nei settori delle energie rinnovabili e delle bioenergie. Devo ricordare e citare il Progetto Finalizzato Energetica del Cnr e dell’Enea, che dal 1976 al 1992, è riuscito a coordinare ottimamente studi e ricerche in tutti i campi dell’energia, grazie ai fondi speciali messi a disposizione da Cipe, coinvolgendo tutte le industrie nazionali interessate ed operanti in campo energetico, nonché la maggior parte dei dipartimenti di fisica e di ingegneria della maggior parte delle Università italiane, e migliaia di gruppi di ricerca del Cnr e dell’Enea. Furono ottenuti risultati importanti e di grande livello internazionale nei settori dell’energia solare, dell’energia eolica, dell’energia geotermica, del risparmio energetico negli edifici pubblici e privati e nelle industrie, dei trasporti, dell’energia dai rifiuti e dalla biomassa, della normativa e così via, risultati riconosciuti e apprezzati dai vari partners europei; a questi risultati, però, non è stato dato, a suo tempo, il dovuto seguito applicativo e di mercato, con adeguati provvedimenti normativi e legislativi locali e nazionali.
Una bella occasione, purtroppo non utilizzata a pieno, nonostante il grande impegno profuso dal direttore del PFE, professor Giorgio Elias, recentemente scomparso, al quale rivolgo un affettuoso e grato pensiero. Nel campo delle energie rinnovabili solare ed eolico, si sono dovuti registrare anche degli atteggiamenti critici rispetto al loro impatto ambientale. Anche queste considerazioni hanno determinato il ritorno in auge delle bioenergie, ossia quelle forze che consentono alle entità biologiche di alimentare la produzione e la sintesi dei tessuti biologici. Carbone e petrolio, quali combustibili, hanno sostituito in gran parte il legno, in tutti i continenti, con una accelerazione che non è più tale in questi ultimi tempi: ciò in quanto queste risorse vanno via via esaurendosi, ed il loro utilizzo dal punto di vista economico sta diventando difficile e oneroso, in quanto il carbone deve essere estratto a profondità sempre maggiori, mentre il petrolio ha superato il “giro di boa” rispetto a quello estraibile. Ed ecco che si arriva alla utilizzazione della biomassa a scopo energetici: la Direttiva Europea 2009 per quanto riguarda la biomassa si riferisce alla frazione biodegradabile dei prodotti, dei rifiuti e dei residui di origine biologica, provenienti sia dall’agricoltura che dalla silvicoltura, da industrie collegate, quali la pesca e l’acquacoltura, e infine dalla parte biodegradabile dei rifiuti urbani ed industriali.
La definizione di biomassa non è accettata in maniera univoca in tutti i Paesi, però i concetti di biomasse possono essere con certezza due: biomassa dal punto di vista ecologico, e biomassa dal punto di vista energetico. In questo secondo punto di vista vengono considerati i prodotti di origine forestale e agricola, provenienti da colture tradizionali ed energetiche; i composti quantitativamente più importanti sono carboidrati, ovvero carbonio, ossigeno e idrogeno, i grassi e le proteine. Attualmente le biomasse incidono su circa il quindici per cento degli usi energetici primari nel mondo (pari a circa 55 milioni di TJ/anno), con i Paesi emergenti che ricavano proprio dalle biomasse il trentotto per cento del loro fabbisogno energetico.
Durante gli anni del Progetto Energetica Cnr-Enea un vasto settore con cospicue risorse di persone e di fondi è stato dedicato all’importante progetto dei cosiddetti biocarburanti: dalla fermentazione di vegetali, quali canna da zucchero, barbabietole e mais (che in molti Paesi del mondo vengono prodotti in quantità superiori al fabbisogno) possibile ricavare l’etanolo o alcool etilico, che può essere utilizzato come combustibile, in sostituzione della normale benzina, per i motori endotermici; invece il cosiddetto biodiesel può essere ricavato dalle biomasse oleaginose, quali la colza e la soia.
Inoltre, tramite appositi procedimenti, è possibile trasformare le biomasse di qualsiasi natura in BTL, ovvero Biomass To Liquid, una sorta di biodiesel ottenuto da materiale organico di scarto oppure prodotto appositamente tramite colture dedicate. È importante sottolineare come in tutte queste ipotesi produttive non si possano trascurare le valutazioni circa il rapporto tra energia ottenuta ed energia impiegata nella produzione (bioetanolo, biodiesel, biometanolo, biodimetiletere, idrocarburi sintetici, bioidrogeno, olii vegetali e così via). Anche in questo caso vi sono alcune controindicazioni, da tenere presenti: si utilizzano terre coltivabili, non per alimentare la popolazione, bensì per alimentare e macchine; nei Paesi del terzo Mondo vengono innalzati i prezzi delle materie prime, e si genera una grave insicurezza alimentare; se le tecniche di coltivazione sono monoculturali, viene di conseguenza ridotta la biodiversità, aumenta la erosione dei suoli, così come aumenta il rischio della proliferazione di insetti e batteri che a lungo andare possono distruggere le coltivazioni, o parte di esse.
Dedichiamo un cenno alle centrali a biomasse: ovvero le centrali elettriche che utilizzano l’energia rinnovabile ricavata dalle biomasse, mediante tecniche diverse; l’energia può essere estratta sia per combustione diretta delle biomasse, sia mediante pirolisi, sia mediante estrazione di gas di sintesi (syngas) tramite gassificazione. Ricordando ancora una volta che per biomassa intendiamo qualsiasi materia organica, con esclusione dei combustibili fossili e delle plastiche di origine petrolchimica, è facile capire come tale definizione comprenda una vasta varietà di materiali: cascami dell’industria, di legname da ardere, di residui di lavorazioni agricole e forestali, di scarti da parte dell’industria agroalimentare, reflui degli allevamenti, oli vegetali, rifiuti urbani, e anche alcune specie vegetali coltivate per questo scopo precipuo.
Vorrei concludere parlando brevemente delle biomasse di tipo legnoso. Il ruolo delle biomasse legnose per usi termici al 2020 potrebbe raddoppiare (arrivando a 10 Mtep) con un costo 10 volte inferiore a quello previsto per il fotovoltaico. Promossa da Coldiretti e Amici della Terra, una conferenza nazionale sulle fonti rinnovabili termiche è stata dedicata a suo tempo proprio alla filiera bosco-legno-energia, in relazione al ruolo che il mondo rurale, in particolare le aziende forestali, possono avere in una pianificazione energetica regionale adeguata alle risorse del territorio e rispettosa delle sue caratteristiche.
Promuovendo l’utilizzo efficiente della biomassa legnosa si possono conseguire risultati importanti ben oltre il raggiungimento degli obiettivi europei al 2020 come la valorizzazione della risorsa forestale, la tutela attiva del bosco contro gli incendi e a prevenzione di frane e alluvioni, il sostegno al mondo rurale, l’utilizzo di tecnologie e di capacità industriali italiane. Nel comparto delle stufe a legna e pellet l’industria italiana ha una posizione di leader mondiale, copre il 90% della domanda sul mercato interno e una quota importante (35%) della produzione nazionale viene esportata. Molto forte è anche la posizione dell’industria italiana nella filiera delle tecnologie per la cogenerazione e il teleriscaldamento da biomasse. Ciò apre spazi importanti per filiere nazionali della biomassa legnosa, settore che vede oggi l’Italia nella posizione di importatore dall’estero di combustibili come il pellet.
La diffusione di contratti di filiera corta, che coinvolgano attivamente il mondo delle imprese agricole e forestali, può conseguire un doppio risultato di crescita in tempi di crisi economica. Il Piano italiano di promozione delle fonti rinnovabili prevede un obiettivo specifico di diffusione delle fonti rinnovabili termiche fissato al 17% dei consumi totali di calore per il 2020 (pari a circa 10,5 Mtep), e alle biomasse legnose è attribuito il 50% (5 Mtep) dell’obiettivo 2020 per le rinnovabili termiche. Da notare che i consumi di biomasse legnose a fini termici alla fine del 2010 ammontavano già ad oltre 4 Mtep, pari all’80% del contributo atteso nel 2020 dal piano nazionale. Tutti questi elementi fanno emergere la necessità di una revisione delle politiche di promozione delle fonti rinnovabili, aumentando gli obiettivi delle rinnovabili termiche. Il ruolo delle biomasse legnose ad usi termici per il 2020 potrebbe essere ragionevolmente di circa 10 Mtep; i costi complessivi delle politiche di sostegno per questo obiettivo non supererebbero i 500 milioni di euro all’anno; valori da confrontare con i circa 6 miliardi di euro destinati annualmente al fotovoltaico, con risultato di circa 0,9 Mtep.