Summit all’Onu per accelerare la ratifica dell’Accordo di Parigi che ad oggi riguarda 27 Paesi responsabili del 39,08% delle emissioni di gas serra
20/09/2016
Federica Cingolani
Ancora pressing sul clima per accelerare la ratifica dell’Accordo di Parigi, adottato lo scorso dicembre nella città francese da 195 Paesi. A New York il 21 settembre è previsto, infatti, un summit che riunirà gli oltre 135 leader mondiali, arrivati per la 71° Assemblea Generale Onu, che saranno spronati dal Segretario generale Ban Ki-moon a far entrare in vigore l’accordo entro la fine di quest’anno (ad aprile scorso un’altro summit all’Onu aveva aperto alle firme dell’Accordo). Si tratterebbe di un successo politico per Ban Ki-moon prima della sua uscita di scena dall’Onu e sarebbe senz’altro un successo politico per il Presidente americano, Barack Obama, anche lui alla fine della sua presidenza.
Proprio dell’ambiente e della lotta ai cambiamenti climatici Obama ha fatto uno dei punti qualificanti della sua presidenza e lo dimostra la ratifica dell’accordo di Parigi, siglata insieme al presidente cinese Xi Jinping, il 3 settembre scorso nel corso del G20.
Una ratifica importante in quanto Usa e Cina sono i maggiori emettitori di CO2 con una quota pari al 38%. Ma quali sono le probabilità che l’Accordo di Parigi trovi una rapida entrata in vigore, a parte la “moral suasion” messa in atto dal segretario generale dell’Onu? Come si sa, perché prenda il via è necessario che 55 Paesi, responsabili complessivamente di almeno il 55% delle emissioni globali, lo ratifichino. Oggi i paesi che lo hanno ratificato sono 27 responsabili complessivamente del 39,08% delle emissioni.
La soglia del 55% sembra ancora lontana, ma la strada, dopo la ratifica di Usa e Cina, adesso è decisamente in discesa e la situazione molto diversa da quella che segnò il lungo e tormentato percorso di ratifica del Protocollo di Kyoto. Secondo la Casa Bianca sono, infatti, almeno 34 i paesi, che rappresentano più del 49% delle emissioni globali di gas climaterici, pronti a ratificarlo entro l’anno. Forse una previsione ottimistica, ma senz’ altro il summit di New York ha spinto molti Paesi a darsi da fare e, per chi non c’è riuscito ora, c’è un altro appuntamento significativo: la COP 22 sul clima che si svolgerà il 7 novembre prossimo a Marrakesh in Marocco.
Guardando la geografia delle ratifiche, emerge che per ora tra i grandi assenti c’è l’Unione Europea (10% delle emissioni), in passato sempre in prima linea nella lotta ai cambiamenti climatici, ma che questa volta, pur non essendoci dubbi sulla sua ratifica, sembra aver perso il suo ruolo di apripista, tanto che alcuni stati europei hanno deciso di fare da soli: la Norvegia ha già ratificato e Francia e Ungheria hanno completato le procedure interne di ratifica. In Italia, come ha detto il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, “il governo è pronto a discutere in un prossimo Consiglio dei ministri la legge di ratifica in modo che il Parlamento possa esaminarla ed approvarla in tempi rapidi, con l’auspicio che l’Italia possa prendere parte ai lavori della Cop22 di Marrakech avendo già completato l’iter di ratifica“.
La Russia (7,5% delle emissioni) ha annunciato di voler ratificare entro l’anno e tra gli altri Paesi c’è il Giappone (4% delle emissioni) che si è impegnato a ratificare in breve e il Brasile responsabile del 2,5% delle emissioni, che per bocca del neopresidente Michel Temer, ha annunciato che lo strumento di ratifica sarà presentato all’Onu entro il mese. Se così fosse la soglia del 55% delle emissioni sarebbe superata, l’Accordo di Parigi avrebbe così vita facile e si darebbe una risposta concreta al clima sempre più bollente. Proprio agosto 2016 è stato, infatti, secondo gli scienziati del Goddard Institute for Space Studies (Giss) della Nasa, l’agosto più caldo degli ultimi 136 anni.