Da quell’incidente è nata in Europa tutta la normativa sul rischio industriale, oggi al posto dell’Icmesa c’è un centro sportivo
01/07/2016
Redazione Econews
Sabato 10 luglio 1976 alle 12:40, dall’Icmesa, lo stabilimento chimico di Meda dove si produceva triclorofenolo, fuoriuscì una nube tossica contenente diossina che si riversò nel territorio della bassa Brianza e soprattutto nell’abitato di Seveso e di altri 3 comuni, sconvolgendo la vita di una comunità, provocando drammatiche conseguenze sanitarie per la popolazione e danni per l’ambiente.
Quell’incidente avvenuto 40 anni fa ha rappresentato uno spartiacque per la conoscenza dei rischi industriali, per l’informazione del pubblico, la sicurezza del lavoro e dell’ambiente e ha segnato il primo conflitto tra la tutela dell’ambiente e le attività delle industrie. Ci vollero giorni prima che l’Icmesa ammettesse che si era verificato un guasto agli impianti con fuoriuscita di una sostanza,che da allora diventò famosa, la diossina (Tcdd). Scattò immediatamente l’allarme, ma l’incidente non aveva precedenti e nessuno sapeva bene cosa fare.
Dopo 5 giorni ci furono i primi casi di cloracne, una malattia della pelle di cui alcuni non sono mai guariti. La presenza di Tcdd fu confermata solo 9 giorni dopo, il 19 luglio e bisognerà aspettare più di un mese, il 24 agosto, per l’evacuazione degli abitanti dalla zona più inquinata.
Verranno poi distrutte le colture ed abbattuti gli animali da cortile. La scarsa conoscenza e la sottovalutazione dei rischi derivanti dalla presenza di insediamenti produttivi da una parte e la successiva crescente attenzione alla tutela e salvaguardia dell’ambiente e alla qualità della vita degli individui dall’altra, posero la problematica del rischio industriale al centro del dibattito dell’opinione pubblica italiana ed europea.
L’incidente di Seveso indusse, infatti, i Paesi aderenti alla Comunità Europea a dotarsi di una normativa diretta a prevenire gli incidenti industriali. Il 24 giugno 1982 fu emanata, quindi la prima direttiva, la cosiddetta direttiva Seveso, che imponeva agli stati membri di identificare i propri siti a rischio, che però venne recepita in Italia nella sua prima versione solo sei anni dopo, nel maggio 1988.
Da allora sono state emanate altre due direttive Seveso, la Seveso II e la Seveso III, quest’ultima recepita in Italia il 26 giugno dello scorso anno. Sulla base delle direttive Seveso circa ottomila stabilimenti “a rischio” in Europa sono soggetti a sistemi di sicurezza, che garantiscono la tutela dei lavoratori e dell’ambiente.
Un’ulteriore protezione contro il rischio chimico è attuata dal regolamento europeo REACH adottato per migliorare la protezione della salute dell’uomo e dell’ambiente dai rischi delle sostanze chimiche che è entrato in vigore nel 2007. Quel conflitto ambiente-industria si concluse come molti altri negli anni successivi (Farmoplant, Acna di Cengio, Enichem di Manfredonia ecc) con la chiusura dell’impianto (nel 1982) e con interminabili vicende processuali.
Al posto dell’Icmesa c’è oggi un centro sportivo e poco distante c’è il “Bosco delle Querce”, piantato anni dopo sul terreno contaminato.