È in costruzione una gigantesca struttura da 2 miliardi di euro per “ingabbiare” il vecchio sarcofago, che dovrebbe allontanare l’incubo nucleare entro il 2023
Una bambola e alcuni libri abbandonati sul davanzale di una finestra; vasi scheletrici che un tempo avevano contenuto fiori e piante; le insegne di negozi che penzolano giù e mai più verranno riparate; le strade desolate, sconnesse e invase dalla vegetazione dove nessuno camminerà più. Trent’ anni dopo l’incidente di Cernobyl, questo è l’immagine ormai cristallizzata di Pripjat, la citta modello costruita per i lavoratori ad appena cinque chilometri dalla centrale ucraina e fatta evacuare in grande fretta il 27 aprile 1986, quando ormai la fuga radioattiva andava avanti da più di un giorno. Proprio questa città fantasma resta il simbolo del più grave disastro nucleare della storia e una memoria di quello che c’era e ora non c’è più. Esattamente 30 anni fa, il 26 aprile 1986, il reattore numero 4 della centrale di Cernobyl esplose all’ 1:26 del mattino sprigionando nell’aria 9 tonnellate di scorie radioattive.
L’ incidente sarebbe probabilmente restato occultato per giorni da parte delle autorità russe se, il 28 aprile, i centri di controllo svedesi non avessero registrato livelli di radioattività più alti del normale.
Quando ormai, dopo numerose smentite, non si poteva più negare nulla arrivò la conferma ufficiale da parte dell’Agenzia di stampa sovietica Tass: “un incidente –scrisse- è avvenuto nella centrale atomica di Cernobyl in seguito al danneggiamento di un reattore atomico”, aggiungendo subito che “sono state prese le misure per eliminare le conseguenze dell’incidente”.
A Kiev, a poco meno di 150 chilometri da Cernobyl, gli abitanti non ne ebbero notizie subito. “Abbiamo saputo della centrale ascoltando la radio svedese –ricorda una donna di Kiev- quando abbiamo capito la gravità dell’incidente è stata tutta una corsa per mettere al sicuro i nostri bambini mandandoli lontani da parenti ed amici. Ricordo i treni gremiti e noi che affidavamo i bambini a persone sconosciute pregando di farli scendere nelle stazioni dove erano attesi”. I territori più colpiti dalla nube radioattiva furono quelli ucraini, bielorussi e di almeno due regioni della Russia occidentale.
Ancora oggi è difficile quantificare il numero delle vittime del disastro di Cernobyl, le stime variano: si va da alcune migliaia a centinaia di migliaia di decessi. L’ unico numero certo è quello che riguarda i “liquidatori”, le persone mandate allo sbaraglio per limitare i danni dell’incidente: dei 350.000 liquidatori ucraini oggi solo 120.000 sono ancora vivi. Anche in Italia si seppe dell’incidente solo il 28 aprile ed esso segnò la fine della breve stagione nucleare italiana.
Il referendum del novembre 1987 fece, infatti, il pieno di voti con circa il 72% degli italiani che disse sì’ alla chiusura degli impianti nucleari. A Cernobyl intanto per contenere le fuoriuscite di materiale radioattivo, tra luglio e novembre del 1986 fu rapidamente costruito un “sarcofago” di cemento armato sopra il reattore 4. Adesso questa struttura è piuttosto malandata e non offre alcuna sicurezza nel tempo e, per questo motivo, se ne sta costruendo un’altra più moderna, in acciaio, con un’arcata alta come un palazzo di 30 piani.
Questa nuova struttura, chiamata new safe confinement, è un progetto che costerà due miliardi di euro ed è finanziato da donazioni internazionali e dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Dopo che la struttura sarà installata, robot disegnati ad hoc (come sta avvenendo a Fukushima), inizieranno a smantellare il sarcofago ed il reattore e a raccogliere i rifiuti radioattivi che verranno stoccati in un impianto nelle vicinanze. Secondo il timing attuale questo processo di smantellamento e messa in sicurezza dovrebbe prendere il via nel 2017, completarsi nel 2023 e garantire la sicurezza per almeno un secolo.
Federica Cingolani