Parla Gian Vito Graziano, presidente del Consiglio nazionale di geologia
- Elisa Peduto
GianVito Graziano rappresenta il Consiglio nazionale dei geologi dopo aver ricoperto, per parecchi anni, la carica di Presidente del consiglio della categoria della Sicilia. Alla sua nomina al vertice dell’associazione, nel 2011, ha dichiarato: “Il geologo deve saper mettere a disposizione della società civile i propri saperi”. Eco-news lo ha intervistato per portare l’attenzione dei lettori sui bisogni e i rischi idrogeologici del nostro Paese.
Quali sono a oggi i maggiori rischi idrogeologici in Italia?
Sono connessi all’aver realizzato città e industrie al margine di fiumi e torrenti, quindi i suddetti rischi si trovano lì dove la normale evoluzione del territorio comporta esondazioni di fiumi su versanti dove sono state costruite case o edifici industriali troppo a ridosso delle acque.
Questi problemi sono poi oggi esasperati dalle tropicalizzazioni del clima. Il modo in cui piove è oggi cambiato. Da sempre la storia conta piogge intense nei mesi autunnali, ma negli ultimi anni possiamo notare una maggiore frequenza di eventi allarmanti e quindi questo susseguirsi di fatti a frequenza annuale determina catastrofi sempre maggiori.
Cosa fa il Consiglio nazionale di geologia per mitigare i danni e che appoggio trova da parte dello Stato?
Il Consiglio nazionale di geologia è un organismo di rappresentanza dell’intera comunità di geologi italiani. Nato il 3 febbraio 1953, ha appena festeggiato il suo cinquantesimo anniversario. Si occupa di albi e ordini che vigilano sulla categoria di geologi. Un ruolo, questo, che oggi non ha più la stessa rilevanza di una volta.
Quello che il Consiglio vorrebbe oggi offrire è un ruolo di sussidio al servizio dello Stato, promuovendo nei cittadini la consapevolezza dei rischi naturali. Si vuole quindi proporre al Governo disegni di legge nuovi.
Abbiamo stipulato un “Manifesto dei geologi italiani per la messa in sicurezza del nostro territorio” che richiede agli schieramenti politici l’impegno di assumere in tempi rapidi decisioni efficaci sui processi di riforma delle politiche di prevenzione ancora scarsamente applicate e assolutamente carenti di risorse economiche, il tutto confezionati su 12 punti specifici elencati nel Manifesto. (info: www.cngeologi.it)
Come mai si parla di mancanza di una cultura geologica in Italia, a che cosa è dovuto questo fenomeno e a quale paese europeo dovremmo ispirarci?
La mancanza di cultura geologica è portata dall’abusivismo edilizio, il problema degli incendi, la non manutenzione della pulizia dei fiumi, etc. In Italia manca una reale sensibilità delle persone e abbiamo bisogno di un reale impegno nel far capire al cittadino le necessità del territorio che occupa. Vi è oggi anche uno scarso interesse politico in questo.
Se andate a vedere i manifesti elettorali, nulla o poco è detto in tema di manutenzione del territorio. Il grande interesse vi è solo all’indomani di una catastrofe naturale, ed esso va scemando nell’agenda culturale e politica non appena le acque si calmano.
Servirebbe una campagna mediatica che intervenisse sulla popolazione e nelle scuole. Questo è a mio avviso l’unico modo per avere una svolta nella mancanza culturale geologica diffusa nel nostro Paese.
Pare che l’Italia sia l’unico Paese carente di un “Servizio geologico nazionale”: è dovuto a una mancanza fondi?
Cosa s’intende per Servizio Nazionale, cosa dovrebbe offrire e come dovrebbe essere strutturato per poter parlare di Servizio di Sviluppo Sostenibile verso l’Ambiente e chi lo abita? Una volta l’Italia vantava il miglior Servizio geologico d’Europa. Lo creò Quintino Sella poco prima dell’Unità d’Italia e fu inaugurato dal Re Umberto I.
Fu Quintino Sella a far incidere quella scritta che ancora oggi troneggia sull’edificio di Largo Susanna a Roma. Parliamo di un periodo di grande esplorazione per l’Italia, dove si collezionarono minerali, conservati fino ad oggi, e fieramente portati in mostra per tutto il Vecchio Continente.
Questo Servizio geologico nazionale fu poi prima smantellato e poi diviso e oggi è parte dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, dove ha perso un po’ della sua efficacia. La situazione di oggi lo vede più che a servizio del Governo, al servizio dell’Ispra.
Quello che oggi occorrerebbe è un organismo indipendente con geologi e ingegneri che insieme si occupano di tutti quegli aspetti di cui un “Servizio geologi nazionali” si forma, dagli aspetti energetici a quelli sui rifiuti e sui minerali, tanto per citare qualcuna delle attività da svolgere per la tutela dell’ambiente e dell’economia dell’Italia.
Parliamo di prevenzione: quali strategie di adattamento agli effetti dei cambiamenti climatici sono oggi necessarie in Italia per evitare ulteriori catastrofi?
Come primo presupposto, torno sul concetto della conoscenza. Senza di essa non si possono tamponare i problemi legati ai cambiamenti climatici. Non si risolve nulla con una legge, ma abbiamo bisogno di un qualcosa di ben più strutturato. La nostra idea è di presentare un Testo Unico al Governo. Vi sono una serie di aspetti da considerare, fra cui primeggia una su tutte l’urbanistica, regolata da una legge da rifare.
Abbiamo proposto al ministro Clini – e ci riproporremo al prossimo ministro per l’Ambiente – di metterci a tavolino per cercare di trovare una soluzione insieme a un gruppo di esperti provenienti dalle più diverse discipline. In passato vi è stata la Commissione Marchi, che ha impiegato ben sette anni prima di partorire la Legge 183. Chiediamo quindi al Governo di avviare i presupposti per ragionare sul problema dei cambiamenti climatici.
In un recente convegno svoltosi in Abruzzo avete parlato del “difficile ruolo della prevenzione in Italia”. Perché difficile?
La difficoltà è dovuta alla scarsa attenzione alla tematica. Se si organizzano convegni a distanza temporale di catastrofi naturali, nessuno li segue e li sente propri. Come ha detto un po’ di tempo fa il Presidente Napolitano: “Una buona politica deve saper riconoscere le reali priorità”. I rischi idrogeologici nel nostro Paese sono reali priorità, perché il prossimo ottobre conteremo già nuovi danni e speriamo non altri morti.
Cosa andrebbe messo in sicurezza, di che manutenzione ha bisogno il nostro Paese?
Da un punto di vista idrogeologico, torrenti e fiumi in collina e montagna sono tutti da mettere in sicurezza. Dal punto di vista sismica, dobbiamo occuparci di rendere sicure le scuole, gli ospedali e i nostri centri storici.
Si legge sul vostro sito che sta per partire un progetto pilota in Toscana di interventi di mitigazione del rischio idraulico e idrogeologico insieme al ministero per l’Ambiente, che cosa può dire a riguardo? Considera questo un primo successo nel lungo cammino della prevenzione?
Assolutamente. Il progetto pilota in Toscana è stato fortemente voluto dal presidente della Regione Enrico Rossi, il quale, contando i danni delle ultime catastrofi naturali, ha insistito con il ministero per l’Ambiente per ottenere una adeguata somma di denaro necessaria per lavorare sul fronte della prevenzione da nuove catastrofi naturali che potrebbero colpire la Regione Toscana. Ha quindi sfidato il Governo a dimostrare un buon uso di questi finanziamenti concessi.
Quali sono invece le regioni in Italia che necessiterebbero d’urgenza di un programma pilota di questo genere? Sarà facile ottenere i finanziamenti statali?
Tutte le regioni d’Italia, nessuna esclusa. Non sarà facile ottenere finanziamenti e il problema dell’Italia è anche quello di non saper sfruttare le poche risorse europee messe a disposizione. Il non essere capace di utilizzare tali risorse e far sì che i fondi stanziati ritornino indietro, sono un punto su cui la Corte dei Conti ha già criticato il nostro Paese.