La denuncia di Domenico Fininguerra, ambientalista: “Ogni volta si parla di evento naturale, ma la colpa è solo dell’azione umana”
Fermare il dissesto idrogeologico si può? C’è un altro modo di governare e tutelare il territorio? Per scoprirlo abbiamo intervistato Domenico Finiguerra, ambientalista, tra i promotori del movimento nazionale “Stop al Consumo di Territorio” e del “Forum Nazionale Salviamo il Paesaggio Difendiamo i Territori” e coautore dello spettacolo “Un nuovo mondo è possibile“, in cui si racconta la corretta gestione del suolo. Nel 2008 Cassinetta di Lugagnano (MI), comune di cui è stato sindaco per dieci anni, ha vinto il premio Comuni Virtuosi nella categoria “gestione del territorio”, quale primo comune in Italia ad aver approvato una variante urbanistica a crescita zero.
Ogni anno in Italia, specie nelle stagioni piovose, giornali e telegiornali tornano costantemente a raccontare nuovi casi di frane, smottamenti, disastri e morti. Come si è arrivati nel nostro Paese a una situazione così drammatica?
La responsabilità di questo fenomeno va imputata a tre “colpevoli”. Innanzitutto va rilevato che per la classe dirigente italiana la manutenzione del territorio e quindi la realizzazione di tutte le opere necessarie ad evitare che si ripetano eventi legati al dissesto idrogeologico è divenuta l’ultima delle priorità. Si preferisce infatti spendere milioni di euro in opere colossali che, con il battage pubblicitario che attirano, assicurando le prime pagine sui giornali anziché impiegare denaro pubblico per realizzare opere necessarie che, però, rimangono “sottotraccia” e non riscuotono gli onori delle cronache. Altra responsabile è una cattiva pianificazione urbanistica del territorio. Da troppi decenni infatti il termine “urbanizzazione” è posto in un rapporto di necessaria correlazione con la parola “cemento”. Dobbiamo renderci conto che creare nuovi quartieri non deve per forza significare realizzare anonimi palazzoni attorno a mega centri commerciali dove il verde trova asilo in qualche sparuta aiuola e dove il grigiore dei luoghi, fateci caso, è sempre legato a una totale assenza di rapporti interpersonali fra gli abitanti. Infine ulteriore causa di tale situazione è l’assenza di una seria politica nazionale a difesa dei piccoli produttori agricoli che ha comportato l’esodo di milioni di individui dai piccoli borghi verso le città: nelle campagne desertificate è quindi venuta meno una fitta rete di controllori e manutentori di fossi e di boschi che oggi si trovano in uno stato di abbandono.
Tale situazione era prevedibile ed evitabile o, in virtù di “crescita, sviluppo e competitività”, questo era il prezzo da pagare?
Non possiamo pensare che questa situazione possa essere un prezzo equo da pagare soprattutto in considerazione del fatto che saranno i nostri figli e i nostri nipoti a doversi far carico dei costi delle nostre scelte. L’assurdità delle nostre azioni trova testimonianza in un dato: se, da un lato, si stima che in Italia milioni di immobili sono inutilizzati poiché vuoti e sfitti dall’altro, ogni anno, 250mila ettari di terreno coperti dal cemento ed utilizzati per la costruzione di nuovi fabbricati. Ci si illude che il territorio sia una risorsa inesauribile e quindi la sua tutela e salvaguardia risultano subordinate ad interessi finanziari che comportano la svendita di un patrimonio collettivo ed esauribile come il suolo, per finanziare i servizi pubblici ai cittadini. Questa situazione non è frutto di un destino ineluttabile, ma è conseguenza diretta della libera scelta degli uomini e soprattutto di una classe politica miope che non ha interesse a quanto avverrà alle future generazioni, ma limita il proprio obiettivo alle prossime elezioni. L’importante quindi è garantirsi i voti necessari per vincere il prossimo turno elettorale e, per raggiungere questo scopo, è più utile la realizzazione dell’ennesimo centro commerciale piuttosto che impegnarsi per garantire la corretta manutenzione della rete fognaria.
Dopo le alluvioni di novembre divenne famoso una sua affermazione: “Non avete alcun diritto di piangere”. A chi era rivolto quel monito? E perché?
Quella mia frase era contenuta in un post che poi è stato ripreso in un bellissimo video interpretato da Basilio Santoro. Quando accadono sciagure irreparabili si ripete immancabilmente il solito teatrino: le autorità e i mass media parlano di “catastrofi imprevedibili” addebitandone tutte le responsabilità alle calamità naturali, i politici, davanti a i riflettori delle telecamere, assicurano azioni tempestive per poi dimenticarsi dell’argomento sino alla successiva disgrazia. Scrissi quelle righe di getto, pervaso da un sentimento di rabbia: non riuscivo più ad ascoltare quei politici che prima avevano abusano del territorio in spregio all’art. 9 della costituzione che ne prescrive la tutela e poi, davanti ai morti e alle vittime, con le facce contrite dalla loro ipocrisia, ripetono meccanicamente le rituali parole di condoglianze.
Secondo lei ci sono speranze che la situazione possa migliorare nei prossimi anni o, a suo avviso, peggiorerà?
Un approccio realistico a questa domanda non può consentirmi di dare una risposta positiva. Politici e amministratori ormai non si occupano più di questo tema. Basta ascoltare le tribune elettorali che, in questo periodo, abbondano in tv: l’unico problema presente nell’agenda della politica è la crisi economica e, in questo contesto, sono percepite come fastidiose note di folklore le istanze di coloro i quali chiedono una seria difesa dell’ambiente e una sana pianificazione urbanistica.
Cosa si dovrebbe fare per fermare tutto ciò? C’è sostiene che intervenire per consolidare e salvaguardare il territorio sarebbe troppo costoso: cosa replica a riguardo?
Innanzitutto bisogna chiarire un aspetto importante: quando si deve far fronte ai danni materiali verificatisi a seguito di eventi calamitosi si “spendono” soldi, mentre si “investono” soldi quando invece si realizzano opere per manutenere il territorio affinché detti eventi non si ripetano. Partendo da questa precisazione è evidente che dice il falso chi sostiene che le opere di manutenzione sono un costo superfluo perché, di fatto, comportano costi superiori rispetto a quelli necessari al ripristino delle aree disastrate. Si deve poi tenere bene a mente un dato: ogni volta che straripa un fiume, crolla una montagna o si verificano altri eventi del genere purtroppo, oltre ai danni alle case e ai beni materiali, ci sono delle vittime e nessuna cifra può essere spesa per risarcire questo danno.
Lei è promotore di due iniziative molto importanti: Stop al Consumo di Territorio e il Censimento del Cemento. Di cosa si tratta? Quali sono le proposte che avanzate per un’Italia davvero migliore?
Partendo da Cassinetta di Lugagnano (di cui Finiguerra è stato due volte sindaco, ndr) abbiamo creato un movimento di opinione lanciando, anche tramite il nostro sito, un invito: abbiamo richiesto alle persone che hanno aderito a questa operazione di “contare” le case, i locali commerciali, i capannoni vuoti o abbandonati presenti nel territorio nazionale per stimare quanti sono ad oggi gli immobili presenti in Italia “liberi” che potrebbero esser utilizzati ai fini abitativi, commerciali e produttivi. Quello che abbiamo intenzione di proporre è una moratoria al consumo di territorio per fermare la condanna di milioni di ettari di terreno che ogni anno in Italia vengono sacrificati per la realizzazione di immobili superflui poiché sostituibili con altri già esistenti ed inutilizzati. Teniamo tuttavia a precisare che la nostra non è una campagna di contrasto all’edilizia crediamo, anzi, che le abilità degli addetti al settore ben potrebbero esser impiegate per valorizzare il patrimonio immobiliare già esistente, nel recupero degli immobili abbandonati presenti soprattutto nei piccoli borghi che rischiano di crollare seppellendo secoli di storia, cultura e tradizioni. Si potrebbe quindi investire denaro ed energie riqualificando le vecchie costruzioni, adottando soluzioni eco-compatibili che permettano di aumentare il risparmio energetico riducendo o addirittura annullando gli sprechi. Insomma, a differenza di chi propone di realizzare anonime ed alienanti “new town” in sostituzione di città ricche di storia e bellezze come L’Aquila, noi crediamo di aver l’obbligo di custodire questi tesori per consegnarli alle generazioni che verranno.
Letizia Palmisano